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Uscire dal piano di rientro si può: il caso "Abruzzo"

L'articolo dell'assessore regionale alla programmazione sanitaria Silvio Paolucci, pubblicato sull'ultimo numero della rivista Monitor, il trimestrale dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali

Nel 2005 il disavanzo della Regione Abruzzo era pari a circa un miliardo e 200 milioni di euro. L’11 settembre del 2008 “considerata la situazione di crisi istituzionale (omissis) in conseguenza della quale possono risultare gravemente compromessi l’ordinato svolgimento delle funzioni assistenziali e conseguente, nel loro ambito, la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni e l’attuazione di tutti gli interventi di risanamento (omissis) previsti dal piano di rientro e tutt’ora in corso di implementazione” con delibera del Consiglio dei Ministri la Regione Abruzzo è stata commissariata. Toccato il fondo non si poteva che risalire e da quella data a oggi la Regione ha visto prima azzerarsi il disavanzo di esercizio (con un conto economico consolidato che già nel 2011 tornava in utile) e nel 2014 per la prima volta ha ottenuto l’adempienza piena in materia di punteggio Lea. Per il resto i dati riportati nel presente articolo parlano da soli rispetto al progressivo risanamento di tutti i principali indicatori della Griglia Lea. I numeri sono dalla nostra parte, ciononostante la Regione Abruzzo non è ancora ufficialmente uscita dalla fase di commissariamento. Sono fra coloro che ritengono inopportuno anche solo ritardare un successo oggettivo. Anche perché a godere del successo è il Paese, perché si premia il merito. Ritengo anche, però, che il merito vada verificato severamente fondandosi su dati oggettivi. Proprio per questo stiamo lavorando alacremente con i Ministeri affiancanti per condividere ogni atto e ogni dato perché il successo possa essere monitorato. Per quanto ci riguarda ritengo avviata la procedura di uscita dal commissariamento da ottobre 2015 e spero sinceramente che, con la collaborazione di tutti, possa chiudersi presto. Il contesto macroeconomico italiano ed europeo non ci fa dormire sonni tranquilli. La crescita c’è, ma è lenta: nonostante gli sforzi (vedi il Quantitative Easing) è ragionevole ipotizzare che non sarà semplice reperire risorse finanziarie. Crescendo ed evolvendosi il fabbisogno di assistenza, il nostro obiettivo deve essere quello di ridisegnare un nuovo modello di sviluppo sostenibile del Servizio sanitario abruzzese, affinché possa competere con i modelli delle Regioni più avanzate e proporsi come riferimento per altre Regioni caratterizzate da un contesto socioeconomico e sanitario simile al nostro. Il Sistema sanitario regionale è un sistema complesso quanto il corpo umano la cui salute è chiamato a tutelare. Proprio come il corpo umano, il Ssr è caratterizzato da una propria anatomia, ovvero le caratteristiche fisiche della propria infrastruttura (tra cui i suoi punti di erogazione), e da una propria fisiologia, ovvero i processi che regolano le modalità con cui il Servizio viene erogato. Alla luce della Legge di stabilità, le Regioni da controllate dovranno dimostrare di saper essere controllori e il Sistema, dopo aver riqualificato la propria capacità di programmare, dovrà potenziare i propri meccanismi di controllo e riqualificare la gestione. Anche in questo caso val la pena prendere ad esempio come fa il corpo umano ad autoregolarsi: in un sistema ad anello chiuso, i centri di controllo ricevono dati in input, li valutano rispetto a un riferimento (uno standard) e agiscono di conseguenza aggiustando la mira. In sintesi, penso sia impossibile autoregolarsi senza disporre dei dati necessari per monitorare costantemente gli esiti della cura, le prestazioni erogate al paziente e ciò che ha vissuto (la patient experience) nonché i fattori produttivi impiegati. Per mettere al sicuro il Servizio sanitario regionale garantendone uno sviluppo sostenibile penso sia, inoltre, necessario trovare le risorse finanziarie per rinnovare l’anatomia della nostra infrastruttura sanitaria iniziando proprio da tutti quegli stabili che, date le loro dimensioni e il loro layout, sono essi stessi causa di inefficienza (intaccando la fisiologia del sistema) e investire maggiori risorse e attenzione all’esito della cura e all’esperienza vissuta dal paziente nell’evolversi della patologia per cui chiede assistenza e cura. Il D.M. 70/2015 ci concede una grande opportunità in termini di razionalizzazione. Purtroppo però il Decreto non può affrontare il tema dell’anatomia attuale della nostra infrastruttura. Il patrimonio immobiliare ricevuto in eredità non dipende da noi. Non tutti gli stabili sono pronti per ospitare una concentrazione di casistica. Allo stesso modo alcune delle strutture che non avranno più un ruolo nella rete ospedaliera non sempre possono essere riconvertite in efficienti strutture per l’assistenza residenziale territoriale. Ad esempio ho avuto modo di verificare in prima persona come, a causa dei vecchi layout, aprire una Rsa in un vecchio ospedale genererebbe un fabbisogno di personale assistenziale prevalentemente destinato al presidio degli spazi più che alla cura dei pazienti, generando dei costi irrazionali, data la tipologia di assistenza erogata. A tal proposito ritengo sia necessario valutare, sia a livello regionale sia a livello nazionale, quali siano gli strumenti a disposizione per avviare un grande progetto di rinnovamento del patrimonio immobiliare. È necessario velocizzare gli investimenti in infrastrutture e tecnologie, ma per farlo da un lato avrei bisogno di capire meglio la ripartizione tra proponente e Asl/Regione dei possibili rischi connessi allo sviluppo di progetti di investimento in sanità e, dall’altro, la previsione del codice degli appalti che fissa il termine perentorio di tre mesi per la valutazione delle proposte di project financing.In merito al primo tema, penso che si debba valutare l’opportunità di convincere i nostri partner europei che gli investimenti pubblici per l’edilizia sanitaria debbano essere tirati fuori dal Patto di stabilità in quanto propedeutici per l’efficientamento del sistema (anche perché in questo modo si eviterebbe di ricorrere al project financing in modo improprio). Per quanto riguarda invece il secondo tema, sono d’accordo nel sollecitare la burocrazia quando si tratta di asciugare inutili e costosi formalismi, ma la valutazione di un project implica competenze tecniche, giuridico-amministrative ed economico-finanziarie pari a quelle necessarie per la redazione del progetto, competenze che non è scontato siano disponibili in Asl o in Regione. Senza sottovalutare, tra l’altro, la sfida lanciata dal nuovo codice dei contratti pubblici in tema di monitoraggio e controllo sull’attività del concessionario (secondo modalità definite dall’Anac), verificando in particolare la permanenza in capo all’operatore economico dei rischi trasferiti. Per quanto ci riguarda, nel prossimo futuro miriamo ad avviare la realizzazione di una rete moderna di ospedali efficienti, caratterizzata da layout adeguati e sicuri dotati di tecnologie appropriate rispetto al fabbisogno di prestazioni della popolazione assistibile. Il sistema sanitario, oltre che dall’anatomia dei punti di erogazione, è condizionato anche dalla qualità dei processi (dalla fisiologia) che a sua volta è condizionata dall’esperienza degli operatori. Disporre di Percorsi diagnostico-terapeutici e assistenziali (Pdta) efficienti e codificati condivisi con professionisti penso sia un passaggio necessario per il nostro Servizio sanitario regionale. Possibilmente dovrebbero essere Pdta che dettagliano le procedure ospedaliere, ma anche il percorso assistenziale extra ospedaliero. Penso al National Insititute for Health and Care Excellence inglese che rende di dominio pubblico informazioni sulle patologie e sui percorsi di cura per ogni patologia evidence-based. Disporre sia di Pdta condivisi, sia di costi
standard rappresenta il futuro del Ssn. Disporre di costi standard non conoscendo le quantità necessarie potrebbe sfociare in una corsa alla riduzione dei prezzi e al contestuale aumento delle quantità. Penso che la definizione di Pdta debba risalire prepotentemente nell’agenda della mia Regione fino a diventare compito quasi unico dell’Agenzia regionale.Una buona anatomia e una corretta fisiologia del Ssr condizionano prima di tutto gli esiti delle prestazioni erogate. Io personalmente sono convinto che pazienti trattati in punti di erogazione caratterizzati da alti volumi di prestazioni, in generale, ottengano risultati migliori. Per molte procedure complesse ci sono studi affidabili e largamente accettati che collegano i migliori risultati a volumi più elevati, confermando questa affermazione, anche se la relazione di causa ed effetto tra alti volumi e alta qualità sia ancora un black box dal punto di vista statistico. Penso che sia la politica, in questo caso, a doversi prendere una responsabilità, concentrando casistica e, più in generale, ritengo che, a oggi, si parla sempre troppo poco di esiti. Se non si parla di questo, allora non si sta facendo sanità. La sollecitazione a occuparci più di sanità e meno di costi dovrebbe spingere tutti noi a parlare di outcome. La priorità di un sistema sanitario sano dovrebbe essere quella di garantire a tutto il Paese gli stessi outcome. Oggi sono i casi di cronaca a motivare le indagini del Ministero. Penso che, a livello nazionale, verosimilmente l’Agenas debba concentrare la propria attività proprio su outcome e audit clinici, perché di questo abbiamo tutti bisogno. Infine, ritengo debba essere data più importanza all’esperienza del paziente. L’economia mondiale parla sempre più di customer experience. Noi dobbiamo iniziare a parlare di patient experience, ovvero dell’esperienza che il paziente vive interfacciandosi con il Ssr.I bisogni e le aspettative del paziente sono cambiati nel tempo: termini come patient empowerment e patient activation sono quanto mai attuali. Il paziente è ormai parte attiva del processo di cura: si informa tramite molteplici canali, ricerca autonomamente prestazioni/servizi, ma, soprattutto, ama confrontarsi e condividere le proprie esperienze. Tuttavia spesso quello che pensa il paziente e il valore che questi associa all’esperienza sanitaria vengono messi in secondo piano. Il tempo di attesa, le lamentele, le cause attivate dai pazienti sono la parte direttamente connessa alla negativa esperienza che questi e il relativo caregiver maturano venendo a contatto con il Ssr.È mia opinione che la Regione, gli operatori, in particolare i medici, debbano evolvere le loro capacità di
interfacciarsi con il paziente. A maggior ragione in un mondo che vedrà crescere costantemente le patologie cronico degenerative. In sintesi, credo che il nostro Sistema sanitario regionale debba impegnarsi: nel garantire la necessaria trasparenza rispetto all’impiego delle risorse, aumentando la quantità di dati condivisi a livello regionale e nazionale; nel rinnovare l’infrastruttura immobiliare che ormai condiziona con i suoi layout obsoleti le potenzialità di efficienza del sistema; nel condividere i Pdta da affiancare ai costi standard come strumento per la riduzione selettiva degli sprechi; nel rimettere al centro del dibattito nazionale gli outcome, investendo sugli audit clinici; nel porre maggiore attenzione al paziente e alla sua esperienza nel corso dell’evolversi della sua patologia. A queste voci ne va aggiunta ancora una, fondamentale:l’importanza delle competenze e del rinnovo delle stesse in un settore strategico come il Servizio sanitario nazionale. I Piani di rientro ci hanno insegnato che il confronto costruttivo con il controllore, il Tavolo di verifica nazionale, associato alla collaborazione con soggetti terzi e competenti aiuta quanto meno a scardinare antichi pregiudizi che, a volte, caratterizzano le strutture dirigenziali locali, apportando una ventata di freschezza e oggettività. Un esempio su tutti: in Regione Abruzzo, mi dicono, si può (qualcuno dice “si deve”) assumere perché siamo molto sotto il limite fissato dalla Legge 191/2009 pari al valore di spesa del 2004 diminuito del 1,4%. Chi fa questa affermazione non aggiunge alcuna valutazione sulla quantità di personale per unità di prodotto/prestazione. In Abruzzo si è passati da un tasso di ospedalizzazione standardizzato (ordinario e diurno) per 1.000 residenti di circa 254 nel 2006 a 154 nel 2014 (riducendo il totale dei ricoveri in regime ordinario ad alto rischio di inappropriatezza del 66%). Penso che sia arrivato il momento di scendere di un livello e di replicare gli stessi strumenti usati in Regione nelle singole Asl e per questo condivido l’approccio della Legge di stabilità perché la Regione Abruzzo quello che poteva fare lo ha fatto. A tal proposito aggiungo che il livello nazionale debba aiutarci a rinforzare le strutture regionali e locali con competenze fresche e adeguate.

Silvio Paolucci

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